Digital kids e digital parents: chi sono gli immigrati digitali?

g.r. – Invale il luogo comune che oggi i giovani siano “nativi digitali” e gli adulti invece “immigrati digitali”, con tutte le relative conseguenze di distacco, impaccio, incomprensione.

Se anche ciò è vero, resta una mera questione generazionale – come tante altre ce ne sono state negli ultimi 200 anni sotto il profilo legato alle tecnologie – e non dovrebbe ripercuotersi sulle potenzialità educative: la famiglia è una realtà umana adatta a tutte le epoche.Chi la pensa diversamente in sostanza accetta e incentiva il disimpegno, giustifica la rinuncia alla fatica educativa proprio quando essa si fa indispensabile.

Caratteristica essenziale dell’era digitale è la “cultura personal”, figlia del pc. Se da un lato essa implica che non ci sono due persone uguali – né due messaggi, due ricerche su google, due home page, due click su un link web eccetera – , dall’altro significa che “nessuno nasce imparato”: nel mondo dell’internet non esistono maestri, e invece siamo tutti esploratori. Importa poco nativi o immigrati, conta invece curarsi gli uni degli altri ed essere accanto al momento delle scoperte. I “digital kids” hanno bisogno di “digital parents” disponibili all’ascolto e alla scoperta, all’esplorazione fianco a fianco con i figli. Ciò che insieme incontreranno, in questo caso, sarà sempre affrontabile: nella giungla ci sono anche le tigri, ed è per questo che è meglio non andarci da soli.

A ogni modo, i primi computer sono degli anni Quaranta, i primi pc d’inizio anni Settanta: pensiamoci un po’ prima di catalogarci tra gli “immigrati digitali”…

Giuseppe Romano

Digital Kids: il decalogo Internet per genitori e figli

Online, nella sezione info (qui), abbiamo inserito un ampio estratto del nostro volume “Digital kids. Guida ai migliori siti web, cd-rom e videogiochi per bambini e ragazzi” (Raffaello Cortina Editore, Milano 2001), tuttora in libreria. Chi volesse può scaricarlo. A testimonianza del fatto che può essere utile inserisco qui sotto un Decalogo della navigazione in sicurezza con le avvertenze per genitori e per figli:

Avvisi ai naviganti

Oltre agli ausili della tecnologia è necessario seguire alcune semplici regole di comportamento per evitare spiacevoli sorprese nel corso della navigazione online dei propri figli o allievi. Sono molti i siti italiani e stranieri che riportano il decalogo della navigazione in sicurezza. Si tratta in buona parte di regole dettate dal buon senso. Qui ve ne offriamo un compendio:

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Il nuovo numero di “Fogli”: videogiochi a scuola

g.r. – è uscito il numero di “Fogli” targato luglio-agosto. L’articolo è nella pagina qui. Tratta di “World of Warcraft”, della innovativa convenzione Aesvi-Ministero dell’educazione, di un interessante esperimento di videogioco in un liceo di Milano.

Il futuro dei serious games

g.r. – Dalla rivista www.e-duesse.it traggo una notizia molto interessante: i serious games hanno un futuro. Serious, cioè giochi finalizzati all’apprendimento e all’educazione. Ben lieti di apprenderlo, anche se il vero orizzonte è quello in cui anche i non-serious sono belli e pieni di contenuto: un romanzo non ha bisogno di essere didattico per essere esemplare, per intrattenere educando alla bellezza.

Mercato serious games a oltre 10 miliardi di dollari nel 2015

Mercato serious games a oltre 10  miliardi di dollari nel 2015

La società Idate ha pubblicato uno studio in cui si prevede che il business legato ai videogiochi educativi crescerà esponenzialmente nei prossimi 5 anni

Idate, società europea di analisi di mercato, ha stimato che il mercato globale dei serious games, software videoludici per l’apprendimento scolastico e professionale, crescerà da 1,5 miliardi di dollari nel 2010 a circa 10,5 miliardi di dollari entro il 2015, con tassi di crescita media del 47% annuo. Gran parte di questa crescita è da attribuirsi allo sviluppo delle tecnologie mobile, che sempre più affiancano il PC come piattaforme ideali per lo sviluppo e l’utilizzo di videogame educativi, oltre che al maggiore interessamento (a partire dal 2013) delle piccole e medie imprese a questo strumento per l’apprendimento. Secondo Idate, inoltre, il business dei serious games è particolarmente interessante perchè rappresenta una potenziale fonte di guadagno per molti diversi segmenti, non necessariamente collegati ai publisher di software per l’intrattenimento interattivo tradizionale: personale per il supporto professionale all’utilizzo del prodotto e personale in grado di istruire i potenziali utenti, adattare il software alle situazioni specifiche, configurare il prodotti in base alla tipoligia d’utenza, raccogliere risultati, interpretarli e reinserirli nel gameplay per incrementare il progresso dei giocatori. A questi si aggiungono i vari settori dello sviluppo e della distribuzione (developers, publisher, distributori e rivenditori), agenzie di marketing e PR, università e istituti di ricerca e i settori di utilizzo finale (difesa, salute, information technology e insegnamento accademico).

Laboratorio videogiochi al Fiuggi Family Festival

g.r. – Manca ormai poco al Fiuggi Family Festival (24-31 luglio), dove sarà attivo per la prima volta un laboratorio videogame con tutor che introdurranno le famiglie nel mondo dei videogiochi: qui informazioni più dettagliate sul Festival e qui sul laboratorio, patrocinato da Aesvi e condotto in collaborazione con Disney, Microsoft, Nintendo, Sony.

Giuseppe Romano

Suicidio scongiurato via facebook

g.r. – Un’altra tragedia scongiurata grazia alla “rete amica”: perché siamo uomini e non fantasmi (elettronici), e ciò che diciamo e facciamo nell’internet si ripercuote nella vita di tutti i giorni… e magari ci salva la vita. Su un fatto accaduto, Avvenire mi ha intervistato qui.

Giuseppe Romano

Come al solito, copio sotto il pezzo:

L’ALTRO VOLTO DELLA RETE Ennesimo episodio di un suicidio scampato grazie alle segnalazioni degli utenti Internet. L’ultimo caso a Garbagnate: da Imperia avevano preso sul serio l’annuncio di una donna sul suo profiloWeb

«Ora mi uccido» Ma Facebook gli salva la vita

Taranto: l’«addio» online di un 46enne Un amico preoccupato avverte però il 112

DA MILANO VIVIANA DALOISO

P uò essere l’imbuto di ogni pettegolezzo possibile sugli altri, la cassa di risonanza di ogni bravata o superficialità, il propagato­re di ogni forma di violenza e sopruso. Ma può an­che diventare il luogo in cui si cerca – e si trova – aiuto. Tanto da vedersi salvare la vita. Tra i mille volti di Facebook, c’è anche quello che ieri, a Ta­ranto, ha permesso agli agenti della Questura di impedire a un uomo di 46 anni di suicidarsi. Spo­sato, con due figli, era vessato da gravissimi pro­blemi economici e aveva deciso di farla finita: «Basta, sono disperato», aveva digitato sulla ba­checa del suo profilo sul social network.

E un suo conoscente, allarma­to da quelle parole, aveva im­mediatamente chiamato la po­lizia, spiegando i fatti. È stata provvidenziale, quell’attenzio­ne, quello sguardo sulla vita di un amico che non si ferma sul­l’orizzonte virtuale, ma è pron­to a cogliere nel grido d’aiuto lanciato in Rete la possibilità concreta di un gesto estremo: così le forze dell’ordine sono risalite all’indiriz­zo dell’uomo, e sono piombate nella sua casa giu­sto in tempo per evitare la tragedia. Trovandolo seduto alla scrivania nell’atto di scrivere un’ulti­ma lettera anche ai suoi familiari.

L’episodio di Taranto è solo l’ultimo di una lun­ga serie: lo scorso marzo era successo a Garba­gnate, nel Milanese. Una donna aveva annun­ciato l’intenzione di uccidersi, sempre sul suo profilo: allora la segnalazione al 112, e poi alla Polizia Postale, era arrivata da un utente della provincia di Imperia. La donna era stata raggiunta nel giro di un quarto d’ora, e trovata in uno sta­to confusionale e malnutrita. E poi a febbraio, ancora, protagonista sempre una donna, stavol­ta di Teramo: il tam tam degli amici, che aveva­no letto le sue parole di addio sulla bacheca del suo profilo, l’ha salvata.

«Sono episodi che parlano di due aspetti fonda­mentali del mondo dei social network e, in par­ticolare, di Facebook», spiega il sociologo Giu­seppe Romano. Il primo è quello di una realtà ba­sata sempre più sulla Rete come mezzo di co­municazione: «Quello che avviene online – con­tinua Romano –, quello che si fa o si annuncia sul proprio profilo non è ‘altro’ dalla realtà. È qualcosa che c’entra con la vita di ciascuno, che parla di solitudine vera, di problemi concreti, non è solo ‘virtuale’». Ecco allora che sempre più per­sone oggi esprimono il proprio disagio reale su Facebook, lan­ciando richieste d’aiuto, di confronto e di dialogo. «Ma l’a­spetto più meritevole d’atten­zione, per quanto riguarda l’e­pisodio di Taranto – spiega an­cora Romano –, è che dall’altra parte c’è qualcuno che ascol­ta, che ha ascoltato. Segno che Facebook non è soltanto un’anticamera in cui tutti passano, si fermano per breve tempo, e poi vanno via. In questo caso il social network è diventato un salotto in cui ci si è seduti e si è formata una ‘famiglia’, in cui la dimensione dell’altro è stata presa in considera­zione seriamente». Che poi dovrebbe essere la vocazione l’obiettivo stesso delle comunità onli­ne: «Alla civiltà della Rete globale serve questa dimensione umana, senza la quale la comunica­zione tra persone diventa solo un involucro vuo­to – conclude Romano –. E senza la quale, come a volta la cronaca ci ha tristemente messo sotto gli occhi, anche gli appelli più disperati possono scivolare via».

Così, per il sociologo Giuseppe Romano, il social network può diventare «spazio reale di aiuto e ascolto»

Videogiochi e famiglia

g.r. – AESVI, l’associazione dei produttori di videogiochi, mi ha intervistato sul suo sito. Tema: videogiochi e famiglia. Chi fosse interessato trova qui il testo. Riporto anche qui sotto:

Giuseppe Romano

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INTERVISTE

8 Luglio 2010

Intervista a Giuseppe Romano – Vicedirettore artistico del Fiuggi Family Festival e Responsabile interattività e videogiochi

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Videogiochi: che cosa sono, a che cosa servono

g.r. – Due mesi fa la rivista “Familiaria” (www.familiaria.it, un progetto molto interessante) mi ha chiesto un articolo sui videogioochi e le loro potenzialità educative. Lo ripubblico qui:

Videogiochi. Parola che non rende l’idea, ma inquadra bene un fenomeno che in Italia come altrove è anzitutto commerciale: oltre un miliardo di fatturato negli ultimi due anni, con una diffusione tra le famiglie che è arrivata l’anno scorso all’impressionante percentuale del 42%, vale a dire quasi una famiglia su due.

La parola “videogiochi”, dicevo, non rende l’idea perché questi straordinari mezzi di espressione e di intrattenimento non sono soltanto “da vedere”, e tantomeno sono soltanto giochi. C’è di più: spesso sono anche storie interattive, sempre più frequentemente vanno diventando veri e propri “mondi online” dove contemporaneamente s’incontrano e interagiscono migliaia di persone.

“Interazione”, qui, è un termine chiave, perché l’aspetto originale, quello che differenzia i videogame dai romanzi, dai film e da tutto ciò che finora ci aveva intrattenuto è appunto la chiamata rivolta verso lo spettatore affinché salga sul palcoscenico: senza di noi, in quanto protagonisti, la storia nemmeno comincia. Se accettiamo la sfida, invece, ci ritroviamo non soltanto a immedesimarci attivamente con un personaggio, ma anche a scegliere quali azioni compirà e quali strade prenderà al’interno di scenari spesso complessi e arricchiti da molti altri comprimari e da situazioni coinvolgenti. Questo discorso vale sia che si tratti di un’avventura da intraprendere (un “romanzo interattivo” o un “film interattivo”), sia che invece si venga proiettati entro una simulazione: una partita di calcio, la guida di un veicolo, una città di cui farsi sindaci, un antico impero da guidare verso il futuro e via dicendo.

Ci sono molte ragioni culturali per ritenere che i videogiochi possano a mano a mano diventare un elemento significativo di socialità e di cultura, di educazione e di intrattenimento. Ce ne sono altrettante di tipo commerciale per non sottovalutarli: le cifre enormi e i gruppi di lavoro numerosi e brillanti che producono questi mondi interattivi dovrebbero indurci a scartare immediatamente l’idea che si tratti di giocattoli poco interessanti. Nessun genitore, nessun educatore può commettere l’errore di farsi guidare da pregiudizi al momento di giudicare il rapporto dei ragazzi col mondo dei videogame: né per sbarrare la porta d’accesso se li crede dannosi, né per lasciarla spalancata e incustodita se non li ritiene rilevanti.

Il Fiuggi Family Festival ha avviato tempestivamente un processo di conoscenza e di studio nei confronti dei videogiochi. Nella sua seconda edizione, l’estate scorsa, li ha messi a tema di un incontro con le associazioni familiari da cui è scaturita con evidenza la necessità di un confronto positivo e di reciproco aiuto. A luglio prossimo nel Festival sarà allestito un laboratorio videogame in cui sarà possibile giocare e fare la conoscenza di questo mondo sotto la guida di tutor che potranno spiegare a tutti i membri della famiglia, dai nonni ai più giovani, quali sono i pregi e le caratteristiche di questo mezzo di comunicazione e di svago.

C’è molta strada da fare. Va nella direzione di un incontro non occasionale tra i videogiochi e la famiglia e tra i videogiochi e la scuola. Nel primo caso si tratta di fare in modo – il “mercato” lo orientano gli acquirenti, non soltanto i venditori – che siano sempre più numerosi e migliori i giochi che la famiglia può essere lieta di portarsi a casa. È per questo che insieme a Famiglia cristiana il Fiuggi Family Festival ha lanciato un concorso per votare il videogioco familiare più bello: chi volesse partecipare può farlo nel sito www.fiuggifamilyfestival.org. A tutt’oggi il pubblico familiare non è considerato centrale nelle scelte di produzione e di vendita, ma la situazione sta cambiando: dall’avvento, due anni fa, della console Wii Nintendo, le mura domestiche e lo spazio dei soggiorni sono diventati sempre più importanti, tanto che oggi tutti i grandi produttori stanno sfornando accessori per favorire questo settore.

Per quanto riguarda la scuola, la differenza essenziale che ancora non è stata colta è quella tra tecnologia e linguaggio. Se è vero che si tratta di mezzi di comunicazione, ne segue che occorre distinguere quali debbano essere i fini della comunicazione di cui quei mezzi sono al servizio. L’informatica e l’elettronica da sole non hanno senso, ed è miope stanziare fondi, tempo e personale per addestrare bambini e ragazzi all’uso dei computer. Conta, invece, che usino i computer per addentrarsi in proposte serie, valide ed esemplari sotto il profilo educativo. Non fermiamoci sulla forma delle penne, se quel che vogliamo è scrivere.

Mentre l’internet e il world wide web erano ai primi vagiti, nella metà degli anni Novanta, i videogame avevano già due decenni di anzianità. Questo vuol dire che il loro modello espressivo – lo stesso che oggi usa il web – era già maturo, e sempre più lo è diventato nel corso degli anni successivi. I siti web sono ancora provvisori e balbettanti, quasi preistorici rispetto alla scioltezza con cui nei videogiochi si utilizza lo stesso identico linguaggio. Anche questo dovrebbe far riflettere educatori e genitori, per imparare a guidare una realtà così ricca e così sottovalutata.

Giuseppe Romano

Giovani e social networks: la privacy può attendere

s.g. E’ appena stata pubblicata la ricerca “Internet e minori – comportamenti e rischi” commissionata da Trend Micro alla società A&F Research. Dall’indagine, condottacon interviste telefoniche su un campione di genitori con figli di età fra gli 8 e i 16 anni, emergono alcuni dati interessanti. Il primo è certamente la propensione a condividere online ampie porzioni della propria vita privata, soprattutto grazie all’uso massiccio dei social networks (utilizzati dall’82,9% del campione tra 15 e 16 anni, dal 74,3% nella fascia 11-14 anni e dal 20% tra gli 8 e gli 10 anni). I tipi di informazioni più facilmente condivise sono: indirizzo email (66,7%), foto personali o dei familiari (56,2%),  scuola (41,9%), eventi ai quali si partecipa (27,1%), informazioni sugli amici (26,2%); ma anche il proprio indirizzo di casa (20,5%) o i luoghi frequentati abitualmente (18,1%). Un secondo elemento da rilevare è la scarsa competenza nel determinare le regole sulla privacy previste dalle reti sociali. Solo il 30% dei genitori è in grado di impostarle, la percentuale è più alta per i ragazzi, che arrivano al 40% e superano il 65% nella fascia di 15 e 16 anni. E’ ancora scarsa poi la condivisone dell’esperienza di navigazione online all’interno della famiglia: il 60 % dei genitori affronta l’argomento soltanto in modo generico, il 43% naviga insieme ai figli, ma la percentuale scende al 28,1% se i figli hanno 15-16 anni e solo il 33,3% sceglie insieme i siti da visitare. Il 40% fa un controllo periodico sui siti visitati, ma il dato più impressionante è forse la scarsissima percentuale di genitori – solo il 7,8% – che utilizzano le funzioni di Parental Control.