g.r. – Due mesi fa la rivista “Familiaria” (www.familiaria.it, un progetto molto interessante) mi ha chiesto un articolo sui videogioochi e le loro potenzialità educative. Lo ripubblico qui:
Videogiochi. Parola che non rende l’idea, ma inquadra bene un fenomeno che in Italia come altrove è anzitutto commerciale: oltre un miliardo di fatturato negli ultimi due anni, con una diffusione tra le famiglie che è arrivata l’anno scorso all’impressionante percentuale del 42%, vale a dire quasi una famiglia su due.
La parola “videogiochi”, dicevo, non rende l’idea perché questi straordinari mezzi di espressione e di intrattenimento non sono soltanto “da vedere”, e tantomeno sono soltanto giochi. C’è di più: spesso sono anche storie interattive, sempre più frequentemente vanno diventando veri e propri “mondi online” dove contemporaneamente s’incontrano e interagiscono migliaia di persone.
“Interazione”, qui, è un termine chiave, perché l’aspetto originale, quello che differenzia i videogame dai romanzi, dai film e da tutto ciò che finora ci aveva intrattenuto è appunto la chiamata rivolta verso lo spettatore affinché salga sul palcoscenico: senza di noi, in quanto protagonisti, la storia nemmeno comincia. Se accettiamo la sfida, invece, ci ritroviamo non soltanto a immedesimarci attivamente con un personaggio, ma anche a scegliere quali azioni compirà e quali strade prenderà al’interno di scenari spesso complessi e arricchiti da molti altri comprimari e da situazioni coinvolgenti. Questo discorso vale sia che si tratti di un’avventura da intraprendere (un “romanzo interattivo” o un “film interattivo”), sia che invece si venga proiettati entro una simulazione: una partita di calcio, la guida di un veicolo, una città di cui farsi sindaci, un antico impero da guidare verso il futuro e via dicendo.
Ci sono molte ragioni culturali per ritenere che i videogiochi possano a mano a mano diventare un elemento significativo di socialità e di cultura, di educazione e di intrattenimento. Ce ne sono altrettante di tipo commerciale per non sottovalutarli: le cifre enormi e i gruppi di lavoro numerosi e brillanti che producono questi mondi interattivi dovrebbero indurci a scartare immediatamente l’idea che si tratti di giocattoli poco interessanti. Nessun genitore, nessun educatore può commettere l’errore di farsi guidare da pregiudizi al momento di giudicare il rapporto dei ragazzi col mondo dei videogame: né per sbarrare la porta d’accesso se li crede dannosi, né per lasciarla spalancata e incustodita se non li ritiene rilevanti.
Il Fiuggi Family Festival ha avviato tempestivamente un processo di conoscenza e di studio nei confronti dei videogiochi. Nella sua seconda edizione, l’estate scorsa, li ha messi a tema di un incontro con le associazioni familiari da cui è scaturita con evidenza la necessità di un confronto positivo e di reciproco aiuto. A luglio prossimo nel Festival sarà allestito un laboratorio videogame in cui sarà possibile giocare e fare la conoscenza di questo mondo sotto la guida di tutor che potranno spiegare a tutti i membri della famiglia, dai nonni ai più giovani, quali sono i pregi e le caratteristiche di questo mezzo di comunicazione e di svago.
C’è molta strada da fare. Va nella direzione di un incontro non occasionale tra i videogiochi e la famiglia e tra i videogiochi e la scuola. Nel primo caso si tratta di fare in modo – il “mercato” lo orientano gli acquirenti, non soltanto i venditori – che siano sempre più numerosi e migliori i giochi che la famiglia può essere lieta di portarsi a casa. È per questo che insieme a Famiglia cristiana il Fiuggi Family Festival ha lanciato un concorso per votare il videogioco familiare più bello: chi volesse partecipare può farlo nel sito www.fiuggifamilyfestival.org. A tutt’oggi il pubblico familiare non è considerato centrale nelle scelte di produzione e di vendita, ma la situazione sta cambiando: dall’avvento, due anni fa, della console Wii Nintendo, le mura domestiche e lo spazio dei soggiorni sono diventati sempre più importanti, tanto che oggi tutti i grandi produttori stanno sfornando accessori per favorire questo settore.
Per quanto riguarda la scuola, la differenza essenziale che ancora non è stata colta è quella tra tecnologia e linguaggio. Se è vero che si tratta di mezzi di comunicazione, ne segue che occorre distinguere quali debbano essere i fini della comunicazione di cui quei mezzi sono al servizio. L’informatica e l’elettronica da sole non hanno senso, ed è miope stanziare fondi, tempo e personale per addestrare bambini e ragazzi all’uso dei computer. Conta, invece, che usino i computer per addentrarsi in proposte serie, valide ed esemplari sotto il profilo educativo. Non fermiamoci sulla forma delle penne, se quel che vogliamo è scrivere.
Mentre l’internet e il world wide web erano ai primi vagiti, nella metà degli anni Novanta, i videogame avevano già due decenni di anzianità. Questo vuol dire che il loro modello espressivo – lo stesso che oggi usa il web – era già maturo, e sempre più lo è diventato nel corso degli anni successivi. I siti web sono ancora provvisori e balbettanti, quasi preistorici rispetto alla scioltezza con cui nei videogiochi si utilizza lo stesso identico linguaggio. Anche questo dovrebbe far riflettere educatori e genitori, per imparare a guidare una realtà così ricca e così sottovalutata.
Giuseppe Romano
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